GRAVIDANZA E ARTRITE REUMATOIDE

GRAVIDANZA E ARTRITE REUMATOIDE

L’artrite reumatoide (AR) è una patologia piuttosto frequente che colpisce lo 0,3-2% della popolazione generale. Il sesso femminile è particolarmente interessato dalla malattia., essendo colpito quattro volte più frequentemente rispetto a quello maschile. L’esordio è più frequente tra i 46-60 anni, , ma può avvenire a qualsiasi età, coinvolgendo quindi anche donne in età fertile. Come la maggior parte della malattie autoimmuni sistemiche, anche l’AR richiede un trattamento di lunga durata a cui i pazienti devono sottoporsi in maniera continuativa, pena il rischio di riattivazione della malattia. Grazie ai trattamenti e ai progressi nei sistemi di diagnosi, la prognosi dell’AR è sensibilmente migliorata nell’arco degli ultimi anni, rendendo possibile non solo un miglioramento della qualità di vita dei pazienti ma consentendo anche una più agevole pianificazione familiare. Tutte queste osservazioni spiegano il crescente interesse che è emerso negli anni circa la possibile influenza della gravidanza sul decorso della malattia e viceversa della malattia (e del suo necessario trattamento) sull’andamento della gravidanza.

A differenza di altre condizioni autoimmuni sistemiche, l’AR non sembra rappresentare un rischio per la donna in gravidanza. La malattia generalmente non riduce la fertilità delle donne affette, tuttavia può minare la fecondità. Ritardi nel concepimento possono essere giustificati, infatti, da diversi fattori più o meno correlati alla patologia reumatica, quali una ridotta funzione sessuale, disfunzione dell’ovulazione, alterazione dell’assetto ormonale e possibile produzione di anticorpi materni diretti contro gli spermatozoi. I dati presenti in letteratura circa l’esito della gravidanza in donne affette da artriti croniche sono pochi e discordanti. Mentre alcuni studi hanno escluso un aumento rischio gestazionale in donne gravide affette da Ar, altri autori hanno dimostrato un’aumentata incidenza di preeclampsia e parto pretermine nelle donne affette da artriti infiammatorie croniche. Non ci sono segnalazioni invece circa l’aumentata ricorrenza di aborti spontanei nelle donne don diagnosi di AR.


Fino a qualche anno fa si credeva che, una volta indotta la gravidanza, il 70-80% delle pazienti affette da AR, indipendentemente,ente dalle cure intraprese,andassero incontro ad un rapido miglioramento clinico che raggiungeva il suo apice tra il secondo e terzo trimestre. Studi più recenti hanno ridimensionato l’effetto benefico sulla gravidanza delle donne affette da AT. Il miglioramento clinico infatti dell’artrite, per quanto effettivo e documentato, sembra infatti ricorrere in una percentuale un po’ più basse di pazienti. Il preciso motivo del miglioramento clinico di una discreta quota di pazienti in gravidanza non è ancora del tutto spiegato, per quanto la fisiologica modulazione dell’assetto ormonale e immunologico materni in corso di gestazione sia sicuramente alla base del miglioramento della malattia. L’evoluzione favorevole dell’AR durante la gestazione sembrerebbe attribuirsi infatti, all’aumentata produzione in corso di gravidanza di sostanze con potenziali effetti antinfiammatori, quali ormoni estro-progestinici e derivati del cortisone. La drastica riduzione al temine della gravidanza dei livelli di tali sostanze espone le pazienti al rischio di recidiva di malattia. Il 90% circa delle donne gravide affette da AR, infatti, sperimenta una riacutizzazione dei sintomi entro 3 mesi dal parto e una percentuale ancora più elevata vede inasprirsi la malattia nei mesi successivi.

Tenuto conto di tutto ciò, l’obiettivo terapeutico in questa fase delicata della vita delle pazienti dunque è triplice: garantire una bassa attività di malattia nelle fasi che precedono il concepimento, mantenere un buon andamento clinico in corso di gravidanza scegliendo trattamenti innocui per la salute fetale, prevenire la riaccensione della malattie nelle fasi successive al parto.

Per quanto riguarda il primo punto, è certamente da tutti condiviso che la gravidanza vada affrontata in un momento in cui l’artrite sia scarsamente attiva. Non è infrequente che alle pazienti venga consigliato di posticipare l’inizio di una gravidanza poiché vi è la necessità di ridurre l’attività di malattia e questo mediante l’impiego di farmaci antireumatici. Il problema maggiore in questa fase è correlato alla potenziale tossicità embrio/fetale che caratterizza tali terapie. Farmaci Cardine per la cura dell’AR quali Methotrexate e leflunomide, per esempio, sono incompatibili con il desiderio di gravidanza perché caratterizzati da teratogeneticità (possono cioè determinare malformazioni embrionali o fetali).


Il Methotrexate deve essere sospeso almeno 3 mesi prima del concepimento, raccomandazione valida sia per le donne che per gli uomini che intendono avviare una gravidanza.

Per la leflunomide il tempo di sospensione dovrebbe essere ben più lungo. Il farmaco, che rimane dosabile nel plasma del paziente fino a due anni dopo la sospensione, impone un trattamento con un altro farmaco, la colestiramina, capace di accelerare l’eliminazione di leflunomide dalla circolazione materna.


I farmaci antinfiammatori non steroidi (FANS), pur potendo attraversare la placenta, sono generalmente considerati sicuri in gravidanza fino alla 32^ settimana di gestazione. Nelle fasi successive, infatti, tutti i FANS, ad eccezione dell’aspirina a dosi inferiori ai 100mg/die, sono in grado di interferire con la “maturazione” dell’apparato cardio-polmonare del bambino e potrebbero aumentare il rischio di sanguinamento nei primi giorni di vita. In mancanza di dati certi relativi alla loro sicurezza di impiego, gli inibitori della ciclossigenasi II (Celecoxib, Etoricoxib, per esempio) devono invece essere sospeso appena la gravidanza si accertata.

A differenza di altri farmaci considerati sicuri in gravidanza ( idrossiclorochina, sulfasalazina, paracetamolo, steroidi a basse dosi), la ciclosporina può associarsi a peggioramento della funzione renale, ipertensione e diabete gestazionale nella madre. Ciò nonostante, studi recenti hanno sottolineato che tali rischi sono molto limitati se la terapia e le condizioni materne vengono adeguatamente monitorate in corso di gravidanza.


Per quanto riguarda i farmaci biologici, diversi sono gli effetti che singole molecole possono esercitare sulla gravidanza. Per motivi etici, non esistono studi clinici condotti in donne gravide trattate con farmaci biologici, pertanto il loro impiego in questa circostanza è generalmente sconsigliato. Dati rassicuranti derivano dall’osservazione di gravidanze esposte a terapia anti-TNF-alfa. Dai dati di cui disponiamo non sembra che esista un aumento rischio materno/fetale secondario ad esposizione a terapia biologica anti-TNF-alfa in corso di gravidanza. Nonostante l’evidenza sia limitata dall’assenza di studi clinici specifici e dall’eterogeneità del casi valutati (differenti patologie di base, differenti tipi di esposizioni farmacologiche), la letteratura suggerirebbe che l’esposizione agli inibitori del TNF alfa nelle fasi precoci della gestazione non sia gravata dalla comparsa di complicanze ostetriche, né dall’insorgenza di problemi legati all’esito gestazionale. In particolare l’esposizione materna e paterna a questi agenti al momento del concepimento e/o durante il primo trimestre di gravidanza non sembra influire sul processo di sviluppo embrionale, né sembra esporre il feto ad un aumento rischio mal formativo. Per tale motivo l’atteggiamento attualmente consigliato prevede la prosecuzione della terapia biologica anti-TNF-alfa indefinitamente per quanto riguarda i futuri padri e sino al momento del concepimento o quantomeno sino all’avvenuta diagnosi di gravidanza (primo test di gravidanza positivo), per quanto riguarda la madre. In questo modo è possibile limitare al minimo l’esposizione fetale al farmaco e , nel contempo, contrastare la potenziale riattivazione dei malattia che, per quanto riguarda la donna, andrebbe ad incidere negativamente non solo sulla salute materna ma anche su quella embrionale e fetale. Per il momento si ritiene opportuno limitare il trattamento durante il secondo e terzo trimestre di gestazione a casi selezionati, a donne cioè con severa riacutizzazione dell’artrite nelle fasi avanzate della gravidanza. I dati pubblicati relativamente alle esposizioni tardive infatti sono ancora pochi, insufficienti per stabilire l’effettiva sicurezza di questo tipo di terapia nelle fasi evolute di gravidanza. Circa i farmaci biologici con anti- TNF-alfa attualmente registrati per la cura delle artriti croniche è necessario fare dei distinguo. Per quanto riguarda Anakinra non sono stati evidenziati potenziali rischi embriotossici sull’animale tuttavia insufficienti sono le evidenze circa l sicurezza di impiego del farmaco in corso di gravidanza umana. Rituximab, Abatacept e Tocilizumab, attraversando la placenta esattamente come accade per i farmaci che bloccano il TNF-alfa, non sembrano associarsi all’insorgenza de eventi mal formativi. Ciononostante, non si può escludere che tali trattamenti possano influire negativamente sullo sviluppo del sistema immunitario del nascituro. In considerazione dei pochi dati a nostra disposizione, al momento si preferisce che le pazienti non intraprendano una gravidanza in corso di tali terapie, osservando periodi di sospensione variabili da farmaco a farmaco. Le pazienti in età fertile pertanto dovrebbero garantire un sistema di contraccezione efficace durante e fino a 10 settimane dopo il trattamento con abatacepr, fino a 3 mesi dopotocilizumab, e per almeno 12 mesi dopo l’ultima infusione di rituximab.


Anche per quanto riguarda l’esposizione farmacologica correlabile all’escrezione dei farmaci nel latte materno non disponiamo di informazioni certe e definitive, essendo la letteratura specifica sull’argomento piuttosto limitata. Per esposizioni materne a baso dosaggio, le concentrazioni di cortisonici (prednisone e prednisolone) nel latte materno sono minime e considerate sicure per lo sviluppo neonatale. Per dosaggi superiori ai 20 mg/die di prednisolone, si suggerisce alla donna di attendare almeno 4 ore dopo l’ultima dose di corticosteroide prima di allattare, al fine di minimizzare l’esposizione farmacologica del neonato. Anche i FANS classici, l’idrossicloronchina e la sulfasalazina non sono considerati farmaci sicuri durante l’allattamento. Considerata l’esiguità dei dati relativi all’impiego di farmaci biologici in corso di allattamento, si considera invece prudente sospendere la terapia nelle donne che desiderano allattare. Qualora la riacutizzazione postpartum della malattia sia particolarmente aggressiva, si consiglia alle pazienti si soprassedere all’allattamento materno per consentire la ripresa di una terapia adeguata.

Sulla base di quanto detto finora, è importante sottolineare come la gestione della gravidanza in corso di malattie infiammatorie croniche quali l’AR sia un tema particolarmente delicato. Per le pazienti affette da malattia reumatica, la gravidanza dovrebbe rappresentare una scelta responsabile e condivisa, che andrebbe, in altre parole, pianificata grazie all’aiuto di uno staff medico esperto. Il fine dovrebbe essere quello non solo di preservare la salute materno7fetale ma soprattutto quello di informare ed educare i pazienti alla gestione corretta della gravidanza stessa. E’ inoltre importante che i medici coinvolti da un alto sappiano accogliere i bisogni e in un certo senso le paure dei pazienti-futuri genitori e dall’altro siano in grado di gestire il possibili disorientamento dei singoli professionisti (ostetrico, medico di famiglia, reumatologo) solitamente chiamati ad esprimere un giudizio circa eventuali rischi per la gravidanza. Solo attraverso un’equipe multidisciplinare dedicata, composta di reumatologi, immunologi, ostetrici e neonatologi è possibile pensare di garantire la miglior prognosi gestazionale e con ciò migliorare ulteriormente la loro qualità di vita dei pazienti, facendo conciliare il desiderio di maternità/paternità con la legittima aspirazione a curarsi.


CONTRACCEZIONE NELLE MALATTIE REUMATICHE


Se una programmazione della gravidanza è condizione essenziale per un suo esito positivo e senza complicanze, ne deriva che la contraccezione è parte integrante di questa strategia. Non sempre tutti i metodi contraccettivi possono essere usati e vi sono regole precise su quali usare e quando usarli, per cui ogni paziente ne dovrebbe discutere con il proprio Medico di fiducia e con il Ginecologo.


Un esempio: la presenza di anticorpi antifosfolipidi - possibilità non rara in corso di diverse malattie autoimmuni - è una controindicazione all’uso della pillola contraccettiva in quanto il rischio di avere trombosi legato all’assunzione della pillola può essere enormemente aumentato in presenza degli autoanticorpi. In questo caso andranno ricercati metodi alternativi di contraccezione (di barriera o con dispositivi intrauterini).


TERAPIE PER LA FERTILITÀ


Infine, un altro problema è quello concernente le procedure di fertilizzazione artificiale in donne che non riescono ad avere figli. Anche in questo caso molte paure del passato sono state ridimensionate e questa pratica è consentita a patto di ubbidire alle stesse regole di comportamento che assicurano di evitare complicanze (riacutizzazione della malattia di fondo, complicanze trombotiche etc).


MALATTIE REUMATICHE E ALLATTAMENTO


I reumatologi non si accontentano di occuparsi della pianificazione corretta della gravidanza, della gestione sicura dei farmaci e del trattamento della malattia di fondo senza effetti collaterali durante la gravidanza. Ci si occupa anche del puerperio e di un corretto allattamento al seno. 


Questo è consentito solo con alcuni dei farmaci usati in gravidanza o con raccomandazioni semplici al fine di evitare effetti collaterali: ad esempio in donne che assumono corticosteroidi si suggerisce di raccogliere il latte lontano dall’assunzione del farmaco e di somministrarlo successivamente agli orari prestabiliti al poppante.


Questo garantisce che i livelli del farmaco nel sangue siano bassi e quindi di conseguenza anche i suoi livelli nel latte evitando in tal modo di esporre il neonato a dosaggi potenzialmente tossici del farmaco.


Il puerperio è periodo a rischio per la riacutizzazione della malattia e rappresenta quindi un momento ulteriore di sorveglianza della mamma. Il parto, in altre parole, non rappresenta la fine del periodo di attenzione e le pazienti devono essere seguite in maniera stretta anche nel post-parto.


EFFETTI DELLA MALATTIA REUMATICA E DEI FARMACI SULLO SVILUPPO


Se l’effetto dei farmaci sullo sviluppo del feto rappresenta il primo obiettivo, oggi si sta cominciando ad affrontare anche l’effetto della malattia della madre o dei farmaci assunti in gravidanza sullo sviluppo dei bambini più o meno a breve termine.


La sorveglianza regolare dei bambini nati da mamma con malattie reumatiche autoimmuni per i primi anni di vita ha al momento offerto dati rassicuranti. Non sono state infatti riportate anomalie nello sviluppo dei bambini; in particolar modo il loro sistema immune sembra essersi potuto sviluppare normalmente dal momento che non manifesta alterazioni di sorta e i bambini rispondono in maniera normale allo stimolo delle vaccinazioni.


MALATTIE REUMATICHE E MENOPAUSA


La menopausa è l’altro versante della medaglia.


Il problema principale è l’aggravamento dell’osteoporosi da parte o di alcune malattie di per sé (ad esempio artrite reumatoide) o a causa di farmaci assunti (cortisonici in particolare).


Anche in questo caso vi sono nuovi comportamenti terapeutici da seguire sia per la prevenzione sia per la terapia. Lo stesso utilizzo di estrogeni come terapia sostitutiva (terapia ormonale dei disturbi della menopausa) è stato rivisitato recentemente nella popolazione generale e queste nuove condotte terapeutiche hanno avuto una ricaduta anche sulla popolazione delle malate con patologie reumatiche-autoimmuni.


La potenziale comparsa di un rischio aumentato di malattie cardiovascolari o di tumore al seno in donne in menopausa trattate con estrogeni in maniera sostitutiva ne ha infatti ridimensionato l’uso a casi particolari; si ricorre invece a nuovi farmaci attivi sul rimaneggiamento del tessuto osseo per ridurre l’osteoporosi e il rischio di fratture.


Artrite reumatoide - Tratto da testi della D.ssa Angela Tincani, Dr.ssa Chiara Bazzani medico, Prof. Meroni Pier Luigi - Luglio 2020

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