REFERTO MEDICO AZIENDALE E LICENZIAMENTO

REFERTO MEDICO AZIENDALE E LICENZIAMENTO

REFERTO MEDICO AZIENDALE E LICENZIAMENTO

In ambito lavorativo, la salute dei dipendenti è un tema assai delicato che incide direttamente sui loro diritti e doveri. Il datore di lavoro deve fare di tutto per tutelare la loro integrità psicofisica – così dispone l’articolo 2087 del codice civile – a pena di responsabilità personale. Il capo deve addirittura valutare il licenziamento del lavoratore laddove questi, per le sue mutate condizioni fisiche, non possa più svolgere le sue mansioni senza mettere a repentaglio la propria stessa incolumità. Ma il solo referto medico aziendale basta per licenziare un dipendente?

La sentenza 6291/17 della Cassazione chiarisce questo delicato aspetto. Vediamo qual è l’orientamento dei giudici in materia.


Può un singolo episodio giustificare il licenziamento?


Secondo la Cassazione, un singolo episodio (ad esempio delle vertigini durante il lavoro) non può giustificare il licenziamento di un lavoratore. Il datore di lavoro deve provare in modo concreto che il dipendente soffre di una “sindrome” clinicamente accertabile che gli impedisce di svolgere le proprie mansioni. Un referto medico aziendale che riporti un solo episodio isolato non è sufficiente a dimostrare un’inidoneità permanente.


Quali prove deve fornire il datore di lavoro?


Per giustificare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo legato a problemi di salute, il datore di lavoro deve andare oltre la mera presentazione di un certificato medico. È necessario fornire prove concrete dell’inidoneità permanente del dipendente, come una sindrome cronica o condizioni ricorrenti, che impediscono lo svolgimento delle normali attività lavorative.


Come funziona l’onere della prova?


La sentenza della Cassazione qui in commento stabilisce chiaramente che l’onere della prova spetta al datore di lavoro. Questo significa che non è sufficiente affermare un’inidoneità o presentare un referto medico generico; il datore deve dimostrare in maniera inoppugnabile che l’inidoneità è di natura permanente e impedisce al dipendente di svolgere le sue mansioni.


Quali sono le conseguenze per il datore di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato?


Un licenziamento basato su prove insufficienti può portare alla reintegrazione del lavoratore e, in alcuni casi, al risarcimento dei danni. Questo enfatizza l’importanza di valutazioni mediche accurate e di un attento esame delle condizioni di salute del lavoratore prima di prendere decisioni drastiche come il licenziamento.


Cosa succede se il dipendente viene licenziato per motivi fisici?


Prima del licenziamento per inidoneità fisica, il datore di lavoro deve tentare il cosiddetto repêchage ossia l’adibizione del dipendente ad altre mansioni compatibili con la sua formazione e il ridotto stato di salute. Non deve a tal fine cambiare l’organigramma aziendale se non nei limiti di un ragionevole accomodamento. Deve arrivare a proporre al dipendente anche mansioni inferiori se quelle dello stesso livello contrattuale non sono disponibili. Il licenziamento per motivi di salute è classificato come licenziamento per giustificato motivo oggettivo: come tale viene comunicato con lettera raccomandata a.r. (o consegnata a mani) con il periodo di preavviso. Il dipendente non ha quindi un termine per presentare controdeduzioni (come nel licenziamento disciplinare). Può tuttavia, entro i 60 giorni successivi, contestare la decisione del datore con una lettera raccomandata o una PEC, per poi presentare il ricorso in tribunale entro 180 giorni. Il mancato rispetto di tali termini impedisce la contestazione del licenziamento. Il dipendente, nel contestare il licenziamento, può dimostrare la sua idoneità fisica o il mancato rispetto del repêchage, suggerendo a quali mansioni poteva essere adibito.


Al dipendente che viene licenziato per giusta causa spettano:


  • il TFR;
  • le ultime mensilità maturate e lavorate;
  • le ferie: il datore di lavoro deve liquidare al dipendente dimissionario le ferie maturate sino ad allora;
  • i ratei di tredicesima e quattordicesima;
  • la NASPI ossia l’assegno di disoccupazione.


Cosa succede se il dipendente si licenzia per motivi fisici?


Per un vuoto normativo, il dipendente che volontariamente si dimette per motivi fisici non può invocare l’assegno di disoccupazione. Secondo la giurisprudenza infatti l’atto si qualifica come dimissioni volontarie e non per giusta causa.


Notiziario del malato - Tratto da laleggepertutti.it - di Angelo Greco - Novembre 2023

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